L’Infinito

Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich – 1818

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

GIACOMO LEOPARDI, L’infinito, 28 Maggio 1819 (Canti , XII)


Commento al testo

Il progetto “Infinity balloon” e “L’Infinito”

La lirica, composta da 15 versi endecasillabi sciolti, inquadra il poeta recanatese in solitudine sul monte Tabor, dove il proprio sguardo viene ostacolato da una siepe. La barriera naturale scherma la visione del letterato da ciò che potrebbe trovarsi al di là del proprio campo visivo ed il paesaggio descritto stimola nella sua mente una riflessione esistenziale sulla capacità che l’immaginazione ha di poter trascendere il reale. L’io poetico instaura un rapporto diretto con la natura e riesce a viaggiare nell’astratta immensità. Lasciandosi abbandonare dolcemente all’ascolto del rumore del fogliame scosso dal vento, Leopardi percepisce a partire dalla sfera sensibile – uditiva e visiva – tempi e spazi interminabili, silenzi che vanno oltre ogni possibilità umana di comprensione. Il reale viene intervallato da una visione infinita di spazio e tempo. Viene presentata l’idea poetica di infinito, che definisce il concetto leopardiano di eternità, di congiunzione diretta del mondo astratto, fulcro dell’immaginazione e della meditazione, al mondo tangibile plasmato dal lògos della natura.

Leopardi cerca di parametrizzare l’infinito astraendolo a partire dalla visione del reale, così come la scienza dei nostri giorni tenta di rispondere al concetto di finitudine ed infinitudine dello spazio e dell’Universo, rimodellando scrupolosamente le congetture delle più antiche teorie cosmologiche, a partire dalla stesura dei “Principia” newtoniani e dall’applicazione pratica della teoria della relatività generale di Einstein nel 1917, fino ad arrivare alle scoperte del presente. Ma alla domanda “L’Universo e lo spazio sono finiti o infiniti?” il metro di giudizio puramente scientifico si rivela suscettibile a continue riformulazioni.

Ogni teoria astrofisica, nella propria evoluzione storica, ha sempre risentito degli accattivanti paradossi dell’infinito; la mente umana si sente attratta da questa sfida concettuale, indispensabile alla dimostrazione della prova cardine del pensiero astronomico, quella del Big Bang; le conseguenze della stessa propongono infatti la visione di uno spazio in continua espansione a causa del moto di recessione delle galassie. Assumendo l’esistenza di un’estensione spaziale dell’universo infinita, perfino per l’emergente meccanica quantistica è diventato sempre più difficile superare quei “limiti” che ci impediscono di definire univocamente i concetti di spazio e di orizzonte osservabile.

Come si può dunque descrivere l’infinito, assunta l’esistenza di un limite alla base del concetto di Universo? La scienza pone le proprie fondamenta sul metodo sperimentale e sull’opinabilità dei fenomeni presi in esame. La mente umana, nella propria grandezza, dimostra anche consapevolezza dei propri limiti. La stessa consapevolezza che Leopardi, nei versi conclusivi del suo Infinito, lascia fuggire dinanzi all’oblio dell’immensità, lasciandosi plasmare da un forte sentimento di abbandono – fisico ed intellettuale – ad un’esperienza piacevole ed appagante nella natura. Volgendo lo sguardo verso lo spazio – reale ed astratto – del proprio universo osservabile, Leopardi riesce a contemplarne la totalità dello stesso attraverso una positiva meditazione filosofica basata sull’unione dei due concetti antitetici di “ragione” e di “immaginario”. Solo con l’immaginazione il poeta riesce a superare il proprio limite.

Anche la nostra scuola, grazie a quest’esperienza di laboratorio scientifico ed informatico, è riuscita nell’impresa di “guardare oltre l’orizzonte” del proprio Universo, non solo intellettualmente – come il poeta recanatese – ma grazie alla sonda sperimentale assemblata anche concretamente. L’illimitatezza del misterioso spazio che ci circonda diventa una questione di “punti di vista”; ci poniamo in parallelo alla dimensione di sublime proposta dal poeta, che permette di vivere a pieno un paesaggio a noi circostante attraverso un’esperienza legata al pensiero. Proprio perché chiunque riesca a vivere quest’ultima non necessita di trovarsi in un luogo particolare per volgere lo sguardo all’ignoto, basterebbe far fluire la propria immaginazione ed il proprio spirito critico per analizzare l’inesplorato; lo ribadisce Friedrich attraverso i giochi cromatici evidenti nel suo dipinto del Viandante sul mare di nebbia, dove la separazione delle tonalità di colore accese da quelle più opache e tenui esalta il dualismo del concetto di infinito, che si pone a cavallo tra quelli di “reale” e di “illusorio”.

L’Infinito, ciò che risiede oltre il nostro sguardo, lo si può contemplare solamente «chiudendo i nostri occhi fisici» ed osservando il paesaggio circostante con «gli occhi dello spirito». E la scienza cos’è se non pura arte dell’estroso pensiero umano? Ѐ solo facendoci strada nei più grandi segreti della nostra arte – come afferma Ludwig van Beethoven – che potremmo comprendere a pieno la stessa. Solo così i più grandi interrogativi si potranno risolvere, solo attraverso la filosofia del pensiero potremmo infatti abbattere i nostri limiti ed ampliare le nostre nuove prospettive del reale. Ed eccoci qui, pronti ad allargare le nostre vedute sfidando ciò che, in passato, ci sarebbe sembrato impossibile!

Jacopo Luciani 03/11/2022